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 52° Filmfestival "Città di Trento" 2004 

14 maggio 2004
Redazione Intraisass
Alberto Peruffo

 

52° Filmfestival "Città di Trento"
 Toccando il vuoto di un capolavoro annunciato [o mancato...] e di una riconciliazione perduta...

Oltre le quinte del Festival

 

 

Quest'anno, anno bisesto e mai sesto [variante di assesto], almeno per le mie dis-seste attività, ho deciso di avventurarmi oltre le quinte. Non vi parlerò di persone o fatti, vissuti o incontrate. Se non marginalmente. Le quinte non sono le seste e cercherò di soffermarmi solo su sei cose. Due veramente importanti. Sceglietele voi. Per il resto, io, ex-iconoclasta, mi affido alla sequela di icone riportate qui a fianco.

Prima cosa: per un breve attimo del Festival sono stato protagonista, insieme al mio gruppo di autori e artisti. Ne siamo usciti lusingati, soprattutto perché abbiamo avuto l'onore di essere presentati dal direttore del Festival, contro ogni previsione. In contemporanea, mercoledì 5 maggio, ore 17:15, davano il film di Charles Houston, al multisala Modena. Io, grande appassionato di storia himalayana, non avrei mosso un passo fuori dal cinema. Anche perché a presentare Exploring the Heights c'era lo stesso Houston, di cui più avanti avrò modo di parlare. Comunque sia, il successo di critica per la nostra rappresentazione è stato notevole e per suggellarlo vi incollo subito una foto. Un omaggio all'attore Nicola Brugnolo. Il post[+]remo sono io.


Sala degli Affreschi, 5 maggio 2004 (Foto di Alessandro Pianalto)

Seconda cosa: il capolavoro annunciato, Touching the Void,  giustamente premiato, è, per certi aspetti, un capolavoro mancato. Secondo il MIO modo di sentire. Ve ne spiego subito le ragioni. Non metto in dubbio l'alta professionalità degli autori del film che sono riusciti a riportare in pellicola con esemplare fedeltà la vicenda narrata tra le pagine di uno dei libri più importanti della letteratura di alpinismo. Anzi, è proprio per lo straordinario soggetto che offriva il mitico libro, tradotto in Italia in La morte sospesa, che mi sono visto sfuggire dagli occhi una pellicola che aveva in sé un potenziale di comunicazione che avrebbe potuto uscire dalla consueta specializzazione in cui sono confinati i film di montagna non banalizzati da produzioni hollywoodiane. Nonostante  l'impeccabile verosimiglianza delle scene in ambiente, girate con grande competenza alpinistica, nonostante la bravura degli attori, mai fantocci hollywoodiani, alcune scelte di sceneggiatura io credo allontaneranno il pubblico e la critica da un largo consenso.

    Il direttore del Festival
Augusto Golin
Sala degli Affreschi
    «Informazioni di Guerra
...per la Pace»
Incontro con Giulietto Chiesa
e Harish Kapadia
Sala degli Affreschi
    «Cordate nel Futuro»
Coro della SOSAT
Sede della Sosat
    Nel 2004 con la R4
Un mitico Giorgio Daidola...
a pieno carico (...?...)
    Quattro chiacchiere al bar
tra Italo Zandonella Callegher
(presidente del Festival)
e il bellunese Flavio Faoro
    Marko Mosetti presenta
«Alpinismo Goriziano»
l'unica rivista in b/n, quasi
una fanzine tra uno stuolo
di riviste patinate a colori
    Salottino con palco
e ospiti celebri al Campo Base
Compagnoni, Aman, Houston...
    Premio SAT
Casa della SAT
    Due veterani del K2
Ashraf Aman (primo pakistano in vetta)
e il simpatico Kurt Diemberger
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
  Reinhold Messner introduce il K2
+ celebre scatto di Vittorio Sella
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
    Reinhold Messner
+ Luca Mercalli (meteoro-logo/comico)
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
    Reinhold Messner
+ Charles Houston (ultra90!)
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
    Compagnoni, Lacedelli (quasi impietriti)
+ Bonatti sfondo
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
    Gruppo K2 rivive
"in su la vetta"
Serata SPECIALE K2 - Auditorium
  Marco Vegetti, sempre più "Vegio",
sottolinea lo scollamento
del Campo Base
1


E dalle sale. Ho trovato poco coinvolgente la scelta di intercalare la voce e l'immagine reale dei veri protagonisti, Joe Simpson e Simon Yates + l'accompagnatore, nel pieno corso narrativo del film. Il filo narrativo è anche un filo emotivo, e rompere i piani di lettura/visione, è molto difficile e pericoloso, senza prendere i dovuti accorgimenti. Accorgimenti che non sono stati presi e che non è mio dovere suggerire. Secondo me l'alto valore realistico del film si sarebbe potuto rispettare senza il bisogno di chiamare in scena, che non è più una scena, i protagonisti reali dell'avventura. Vedere comparire nel bel mezzo di ogni scena, potenzialmente dotata di grande carica emotiva,  le facce, astratte dal contesto e dagli attori in scena, di Simpson, Yates o del terzo, che ti s-piegano con sguardo introspettivo ciò che sta per accadere, l'ho trovato poco efficace. Una debolezza che fa diventare lungo e prolisso il film stesso (106 minuti), che lo fa essere mezzo documentario, mezzo film a soggetto. E sottolineo che i soggetti possono essere anche storici, reali, senza entrare nella questione fittizia finction/no finction. Una cosa è il valore realistico, altra il valore artistico. In altre parole la forte carica emotiva (o meglio commotiva, che induce commozione) che contraddistingueva il celebre libro di Simpson, l'ho sentita pian piano scemare durante la proiezione del film. Straordinari passaggi emotivi, come il taglio della corda, il ritrovamento del compagno e conseguente ricongiungimento in tenda,  sono stati interrotti o a volte sostituiti da parole e personaggi fuori scena (che non è un fuori campo), quasi a inquinare, almeno nel mio caso, il flusso  di emozioni che una vicenda del genere è impossibile non crei. Per essere un capolavoro mi sembra essere lontano da magistrali sceneggiature a soggetto storico come Himalaya - Infanzia di un capo di Eric Valli o dalla poesia documentaristica di El Capitan di Fred Padula.
Premiati a Trento. Veri capolavori, ai quali non ci avviciniamo neppure per la fotografia. Sebbene le scene alpinistiche siano efficaci (una su tutte, davvero perfetta, la caduta nel crepaccio di Simpson), non credo bastino qualche sfilaccio di nubi e neppure la ripresa aerea, circolare, della Siula Grande per sfiorare la luna di Padula o il paesaggio di Valli. Idem la musica. Infine, certe scene alpinistiche hanno fatto sollevare un po' di riso in sala. Si vede per più di una volta il povero Simpson essere calato a velocità vertiginosa lungo il ripido pendio di neve e ghiaccio. La prima volta resti stupito. La seconda ti metti a ridere. Non si ride sul tragico. E un capolavoro non dovrebbe essere ridicolo. Mai e per nessuno. Pure la scena del prusik, ultimo tentativo di Simpson di risalire alla vita prima del fatidico taglio, sembra tratta dalla passione di Cristo, con le mani troppo prosaiche. La giuria ha detto che è un capolavoro. Può essere. Potrei interpretare tale affermazione come un lavoro al capo di cui seguiranno altri di struttura simile, che non sono né carne né pesce, come certe vie moderne sulle pareti dolomitiche. Troppo cattivo. Può essere. Vabbè: è un film che vale la pena di vedere. Ma l'autentico capolavoro resta il libro. Ergo: un'occasione mancata. Questo è ciò che è passato per la MIA testa appena uscito dalla sala.

Terza cosa: tutti aspettavano il 52° Filmfestival come il festival della riconciliazione. Addirittura, visto come sono andate certe cose, delle riconciliazioni. Puntualmente non avvenute. In primis, quella sul K2. Sono rimaste impresse nei miei occhi, e nella pellicola, le espressioni dapprima distaccate di Compagnoni e Lacedelli mentre Messner, nel cuore della serata all'auditorium, attribuiva il giusto merito a Walter Bonatti, ritratto nella classica foto giovanile con barba. Giusto in quanto equamente diviso tra tutti i membri della spedizione, sottolineando lo sforzo di Bonatti e compagni per portare le bombole d'ossigeno all'ultimo campo, l'abilità di Lacedelli nell'affrontare le rocce del tratto chiave e di Compagnoni di battere pista sul difficile terreno misto finale. Compagnoni e Lacedelli straordinari pure nel riprendere le fasi finali con la telecamera. Espressioni, dicevo, in un primo momento distaccate, quindi impietrite quando Reinhold ha riproposto, fuori tema, la grandezza di Bonatti, accompagnata dal secondo e più lungo applauso della serata, con l'alpinista stavolta ritratto  durante una delle sue grandi imprese sulle Alpi. Non è i caso di ritornare sulla questione nei minimi dettagli recentemente riproposti da Bonatti sul suo ultimo libro a cui seguiranno, sorprendenti si dice, quelli di Lacedelli nel libro curato da Giovanni Cenacchi. Così almeno mi ha confidato lunedì Giovanni, visitandomi in libreria. Non è il caso. Ma, rivedendo sul palcoscenico il grande Charles Houston, di cui un millesimo di alpinisti italiani conosce la storia, mi viene da fare una considerazione. Venerdì sera, dopo 50 anni, di fronte a un pubblico numerosissimo e desideroso di sapere, vedere, era il momento opportuno per la riconciliazione tra Bonatti, Compagnoni e Lacedelli. Non c'è stata. Eppure, se si sentono entrambe le campane, perennemente stonate, se si sentono le risoluzioni dei grandi saggi, sì, insomma, si sa che lassù qualcosa non è andato. Che le bombole tiravano o non tiravano. Che l'ambizione a volte, volenti o nolenti, crea fraintendimenti. Si sa che non è stato un capolavoro di intesa. Che qualcosa non è andato. Cosa, di preciso, solo loro lo sanno e credo che mai nessuno lo saprà. Uno dirà una cosa, gli altri ne diranno un'altra. Ma non c'è terzo che possa confermare, verificare. E' la legge della scienza. L'unica verità che noi, quaggiù, a livello del mare, a filo di pelle, di sensibilità umana, terrena, abbiamo colto, è questa: se dopo 50 anni delle persone non si stringono la mano significa che qualcosa di veramente grave è successo. VERAMENTE GRAVE. Basta, non ne vogliamo più sapere di questo K2 all'italiana. Non c'è più una nazione da risollevare (o forse c'è, mi viene il dubbio dopo tutto). Preferisco suggerirvi di approfondire la storia delle eccezionali spedizioni americane del 38, 39 e 53, di cui recentemente ho riletto tradotto in italiano fluente ed esemplare dal grande storico dell'alpinismo Giovanni Rossi (perché non è stato chiamato costui tra i saggi del K2?), pagine tra le più superbe dei racconti d'ascensione. Correte a leggervi il nucleo centrale della spedizione Houston del 53. La ritirata causata dal maltempo di una squadra affiatatissima arrivata quasi a 8000 metri lungo lo Sperone degli Abruzzi, sette alpinisti in splendida forma tutti pronti per la vetta e decisi a non rivelare la cordata di punta, democraticamente scelta, in caso di successo, uno di questi improvvisamente colto da una grave forma di flebite, irreversibile, la morte sicura, il prodigarsi dei compagni per salvargli la vita e non lasciarlo da solo, quasi una settimana passata sotto bufere di neve che non permettono di scendere, l'incidente che travolge l'intero gruppo, a parte uno che salva tutti, Houston compreso, soggetto a commozione cerebrale, la scomparsa del ferito legato... una storia paragonabile, se non superiore per forza drammatica e rapporti personali, a quella di Simpson sulla Siula Grande. Per non parlare di Wiessner che tocca le rocce insormontabili degli 8300 metri nel lontano 39, passate poi da Kukuczka, senza possibilità di riprovare da un'altra parte per soccorrere il suo compagno esausto, un portatore hunza. E leggo e rileggo, incredulo, e non c'è una riga dove si parla di bombole d'ossigeno. Spedizioni leggere. Poi arriva la spedizione militare di Desio con una città di portatori. Un'altra storia. Nazionale. Ad ogni costo. La cima. Risultato: io la sera di venerdì avevo con me una cartina orografica del Baltoro e sono tornato a casa con l'autografo di Charles Houston. Solo un autografo. Uno dei più grandi esploratori di montagne di tutti tempi. Un vero signore. Punto.

Quarta cosa: la seconda del punto precedente. Pure tra CAI, Festival, conventicole varie e Comune di Trento c'è stata poco conciliazione. Per il K2 mostre diluite, saggi sperduti, quando si sarebbe potuto far convergere tutto a Trento in occasione del Festival e della tanta pubblicizzata serata conciliatrice. Il Comune di Trento (regione o provincia, non vorrei sbagliare, comunque l'ente preposto), da quel che ho sentito, non si è dato molto da fare per aiutare il Festival. So che certe scelte fatte dal direttore e dal presidente sono state fatte per necessità. La tanto criticata decisone di spostare la proiezione dei film nelle multisale ha i suoi aspetti positivi e negativi. Se ne potrà discutere. Ci si adatterà più o meno. Sicuramente è in linea con i grandi festival internazionali del cinema e con le attuali magre finanze di quello trentino (da quel che ho appreso il Comune domandava cifre esorbitanti per il noleggio dell'auditorium). Infine, ho colto ancora la classica malattia associativa, da conventicola, in giro per le varie sedi del Festival. C'è il CAI, la SAT, la SOSAT, il GISM, il CAAI, l'UIAGM ecc. ecc. Se vai da una parte non trovi quelli dell'altra. Se non le cariche istituzionali. Le basi se ne stanno per conto proprio. Insomma, alpinisti, incontratevi, prolificate, uscite dai vostri gruppi e andate a esplorare altri mondi. Non solo montagne.

Quinta cosa: una proposta. Per quanto si sia ristabilito la mensa + bar + salottino con palco, il dopofestival, o l'intrafestival, manca di momenti di coesione e di incontro specie tra gli alpinisti delle nuove generazioni. Di questi ultimi se ne sono visti pochi. Sarebbe bello creare un circuito di incontri dove i giovani (in senso produttivo/artistico...) e le loro sperimentazioni potessero incontrarsi. E confrontarsi con la tradizione. Magari a fine serata. Le vie nuove dell'arte sono molteplici quanto i nuovi modi di andare in montagna, o, se volete, sulla verticale. Ci vorrebbe uno spazio, un luogo informale d'incontro, penso ad esempio alla nuova Pedavena, e un gruppo di persone, o qualcuno, che facesse la regia di fine serata, penso ad esempio all'ex-atletico poeti di Trento, gruppo molto attivo.

Sesta cosa: in teoria un fatto meramente linguistico. Lo presupponeva il prologo. In verità non ho altro da dire. La sesta è una misura difficile da prendere in mano. Soprattutto dopo il mio incontro, personale, con Reinhold Messner. Oltre le quinte, prima della serata all'auditorium. Ha detto di sì al mio ultimo progetto. Preferisco tacere. Finalmente.

Un caro saluto

Alberto Peruffo
redazione intraisass
14 maggio 2004

_______________________
>>> comunicati stampa
del Filmfestival con i vincitori e i verbali della Giuria internazionale e della Giuria premi speciali

 

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